LA GRAVE QUESTIONE DELLA SCARSA QUALITA’ DELLE RIFORME STRUTTURALI
Le nuove frontiere del confronto politico e sociale: iniquità, dubbia costituzionalità e inevitabile contenzioso
di Marco Paolo Nigi
A metà giugno, in merito alle leggi di riforma, indicammo a Governo e Parlamento la questione centrale dell’equità sociale e della legittimità costituzionale, nonché denunciammo il discutibile metodo relazionale fra massime istituzioni e corpi intermedi, rivelatosi nei fatti scarsamente democratico e proficuo. Inoltre, sostenemmo e argomentammo come le politiche dell’eccessiva austerità dell’Eurozona e l’incapacità degli ultimi governi della Repubblica di percorrere, in materia di finanza pubblica, la strada indicata dalla Confsal, costituita da una seria lotta all’evasione fiscale e un forte contrasto al lavoro sommerso per aumentare l’entrata tributaria e contributiva, nonché da una spending review autentica, mirata e giusta, con l’eliminazione degli insostenibili sprechi per ridurre la spesa improduttiva. Avevamo, però, sottolineato l’importanza sociale della salvaguardia dell’erogazione dei servizi pubblici primari e dell’obiettivo politico di un welfare di livello Eurozona. Avevamo, ancora, sollevato con forza l’anomalia italiana della immane diffusa corruzione, con la conseguente distruzione di risorse finanziarie pubbliche,
che potevano essere indirizzate a sostegno di eque politiche sociali a favore dei lavoratori, dei pensionati e dei disoccupati.
In sintesi, avevamo chiamato il Governo Renzi all’impegno in funzione di una marcata discontinuità nelle politiche per lo sviluppo e per l’occupazione e nelle politiche di finanza pubblica.
Avevamo, tra l’altro, proposto una modifica alla Legge “Fornero” con l’eliminazione di evidenti e penalizzanti iniquità e con l’introduzione di una flessibilità finanziariamente sostenibile e di fatto usufruibile, evitando la previsione di forti penalizzazioni per i pensionandi.
Avevamo evidenziato con forza la “dubbia costituzionalità” della normativa riguardante la deindicizzazione delle pensioni e il blocco quinquennale dei rinnovi contrattuali del pubblico impiego.
In questi ultimi giorni, siamo stati fortemente impegnati in sede di audizione nelle competenti commissioni parlamentari sulla legge di riforma della scuola, tenendo costantemente presente il dettato costituzionale sulla libertà di insegnamento, e sulla riforma della pubblica amministrazione a favore della difesa dell’autonomia e della imparzialità della funzione amministrativa e contro la deleteria invadenza della politica per una sufficiente e puntuale erogazione di primari servizi di qualità.
Anche in queste occasioni la Confsal ha denunciato, oltre alle criticità e alle illogicità normative, l’iniquità e la dubbia costituzionalità di alcune norme.
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 70/2015, già un mese fa, si era espressa dichiarando l’illegittimità costituzionale di alcune norme in materia di rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici.
Recentemente, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità del blocco della contrattazione collettiva nel pubblico impiego, affermando così un fondamentale principio di civiltà giuridica a tutela dei lavoratori.
La sentenza, a decorrere dalla sua pubblicazione che dovrebbe avvenire nei prossimi giorni, dispiegherà soprattutto due effetti: l’inammissibilità del perdurare del blocco della contrattazione collettiva e l’illegittimità del diniego al sindacato di rappresentare i diritti e gli interessi normativi e economici dei pubblici dipendenti. E’ evidente che si tratta di una sentenza “storica” che segna una grande vittoria dei lavoratori e una chiara affermazione della Confsal, che ha sollevato la questione davanti alla Corte Costituzionale.
La Confsal, con le sue Federazioni interessate, una volta preso atto del testo della sentenza, chiederà al Governo la puntuale attuazione della stessa, consistente nell’apertura in tempi brevi del negoziato per il rinnovo dei contratti dei pubblici dipendenti e l’adeguata copertura finanziaria nella legge di stabilità 2016.
E’ di oggi l’approvazione da parte della Camera dei Deputati del Disegno di Legge, di iniziativa governativa, riguardante la riforma della scuola.
La riforma potrebbe aprire un enorme contenzioso sul fronte della soluzione parziale, iniqua e penalizzante del precariato e su quello della dubbia costituzionalità di alcune norme riguardanti la libertà di insegnamento del docente in relazione alla previsione dei nuovi poteri del dirigente scolastico e alla drastica riduzione della collegialità in regime di autonomia in materia pedagogico-didattica e delle competenze proprie delle RSU.
A questo punto, non possiamo più sottrarci ad una amara e preoccupante constatazione: esiste una Costituzione in parte disattesa, sia nella normativa primaria vigente che in relazione alle autentiche intenzioni dei padri fondatori.
Pertanto, la Corte Costituzionale prevedibilmente nell’immediato prossimo futuro, dovrà esprimersi ancora sulla costituzionalità di molte norme, se si continua, come si è fatto finora, a legiferare senza valutare approfonditamente la costituzionalità delle previsioni di legge, e, purtroppo, a promulgare le leggi secondo la discutibile prassi del “totale rispetto” del testo approvato dal Parlamento.
Il Governo Renzi e la maggioranza parlamentare che lo sostiene, in questi ultimi giorni, hanno “vantato” il merito di aver varato importanti riforme, quale il Jobs Act e la Riforma della scuola, non tenendo conto evidentemente che la vera questione da risolvere non è quella di fare “una riforma”, chiamandola “buona”, ma quella di modificare “in meglio“ una condizione e una situazione esistente.
A nostro avviso, la “cieca” corsa del Governo Renzi ad attribuirsi il merito riformistico, anche nei confronti dellagovernance dell’Eurozona, sta aprendo una nuova frontiera di iniquità e di dubbia costituzionalità delle leggi, oltre che di largo e preoccupante dissenso politico e sociale.
E’ evidente che i provvedimenti di legge del governo Renzi, approvati dall’attuale Parlamento, stanno segnando il passaggio da una grave inerzia e sterilità riformistica ad una altrettanto grave situazione causata da un dannoso attivismo riformistico con la produzione di riforme di scarsa qualità e di dubbia costituzionalità.
A nostro avviso, si tratta di un passo indietro di cui il Paese non aveva e non ha proprio bisogno.